Estratto Tra due cuori - Samantha Young

Titolo: Tra due cuori
Editore: Leggereditore
Data di uscita: 31 Marzo 2016
Cartaceo: €12.67
Pagine: 223

Trama: Charley Redford non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe sentita tanto speciale. Jake Caplin, un ragazzo come non ne ha mai conosciuti, è riuscito a farla sentire unica, desiderata, amata. Da quando si è trasferito nella cittadina dell’Indiana dove lei è cresciuta, tra loro si è creato un legame profondo e inscalfibile. Ma il giorno in cui un tragico incidente sconvolge la vita di Jake le cose prendono una piega inaspettata. Jake decide di ricostruire la propria vita senza Charley, lasciandola sola con il proprio dolore.   Quattro anni dopo, in occasione di una festa a Edimburgo, dove si trova per una vacanza studio, Charley incontra di nuovo Jake. Per entrambi è un brusco ritorno al passato: per Jake la presa di coscienza di aver lasciato andare qualcosa di irripetibile, per Charley la conferma che il dolore per quella separazione non è ancora del tutto sopito. Quando la scintilla torna a riaccendersi, le loro esistenze entrano in crisi e le relazioni con le persone con cui hanno condiviso la vita negli ultimi anni sembrano perdere senso. 

Avranno il coraggio di dare una seconda chance a quel rapporto in cui, anni prima, non hanno creduto fino in fondo?

AutriceSamantha Young è nata in Scozia ventotto anni fa. Nel 2011 ha cominciato ad autopubblicare i suoi romanzi su Amazon, riscuotendo grandissimo successo. Già tradotta in ventotto Paesi e nominata due volte al Goodreads Choice Award nelle categorie miglior autore e miglior romanzo, in Italia è nota soprattutto per la serie inaugurata da Sei bellissima stasera, pubblicata da Mondadori. Tra due cuori, il suo primo romanzo pubblicato per Leggereditore, è nelle liste dei bestseller secondo The New York Times e usa Today e nella top ten dei romanzi più venduti dalle più importanti catene librarie internazionali.




Con il suo stile inconfondibile Samantha Young firma un romanzo intenso e coinvolgente. Preparatevi a lasciare il cuore tra queste pagine.


Edimburgo, settembre 2012 «Sei già andata a fare la spesa? Costa molto il cibo? Capisci cos’è almeno la metà degli alimenti?» Trattenni una risata. «Mamma, sono in Scozia, non in Amazzonia.» «Lo so, ma lì mangiano cose che noi non ci sogneremmo nemmeno di mangiare.» Aveva un tono così disgustato che non potei fare a meno di darle una risposta secca. «Non sono cannibali.» Uno spruzzo di bibita mi passò davanti agli occhi e, girandomi, vidi che alla mia amica Claudia era andata di traverso la Coca Light mentre ascoltava le risposte che davo a mia madre. Eravamo sedute nella cucina del nostro appartamento per studenti, col sedere appoggiato sulle comode, seppure bizzarre, sedie da sala d’aspetto con cui era arredata la nostra cucina. Davamo le spalle all’ampia porta-finestra che guardava sulla corte del palazzo, con il sole che colpiva il vetro e ci solleticava la pelle con il suo calore. Ogni arredo nella stanza aveva un aspetto pulito, fresco e robusto. La sistemazione era modesta, ma era un posto caldo e sicuro e migliaia di volte meglio di quanto mi avevano fatto credere che sarebbe stato. «Sei così melodrammatica, Charley. Sto solo dicendo che il cibo è un po’ diverso» proseguì mamma. «Voglio solo assicurarmi che tu stia mangiando bene.»
Che io fossi a Edimburgo o a casa mia, nell’Indiana, mia ma­dre voleva sempre assicurarsi che mangiassi bene. E tutto perché non sapevo cucinare.Delia Redford era una cuoca e una pasticcera eccezionale, così come lo era la figlia maggiore, Andrea, perciò per lei era un fallimento personale il fatto che la figlia minore (che sarei io) non sapesse far bollire l’acqua per la pasta senza fare casini. Fortunatamente per me, sapevo leggere e far funzionare un forno, per cui i pasti surgelati mi avrebbero salvata dal morire di fame. «Mamma, mangiano più o meno quello che mangiamo noi, soprattutto perché... sai... sono persone.» «Tranne per il fatto che la loro cioccolata è migliore» farfugliò Claudia, sgranocchiando una barretta di Dairy Milk. La guardai accigliata. «È questione di gusti.» «Cos’è questione di gusti?» domandò mamma incuriosita. «C’è Claudia lì? Sta mangiando bene?» Abbozzai un sorrisetto. «Mamma vuole sapere se stai mangiando bene.» Claudia annuì e biascicò, con la bocca piena di cioccolata: «Mai mangiato meglio.» Agitò le dita e deglutì, poi disse: «Ciao, mamma Delia!» Mamma rise. «Dille che la saluto anch’io.» «Mamma ti saluta.» «Tuo padre ha detto di dirvi che voi due farete meglio a farvi sentire ogni giorno.» Feci una smorfia. «Ma non avete chiesto a Andie di farsi sentire ogni giorno, quando era a Dublino.» «Non c’era bisogno di chiedere a Andie di chiamare. Tu, al contrario, hai sempre talmente da fare che è un miracolo se riusciamo a sentirti.» «Be’, non è che sto fumando crack, mamma. Sto studiando e organizzando i ca... le mie cose.» Il suo tono si fece tagliente. «Stavi per dire ‘i cazzi miei’?» «Come potrei mai io, ormai donna adulta di vent’anni, azzardarmi a dire parolacce di fronte a mia madre?» Sbuffò. Sospirai. «Mamma, non vi chiameremo ogni giorno. Costa troppo. E non ho tempo per collegarmi su Skype ogni giorno. Vi manderò delle email quando potrò durante la settimana e faremo una chiamata Skype una volta a settimana, okay?» «Non devi per forza farla sembrare una scocciatura.» «Mamma, vi voglio bene. Non è una scocciatura. Mi mancherete anche voi... ma sono partita da due giorni. Vi prego, datemi il modo di sentire la vostra mancanza.» Dopo una sua risata sommessa, mi rilassai. «Sono solo preoccupata. Sei la mia bambina e Claud è la mia bambina adottata.» «Staremo bene. Ma ora dobbiamo andare: è la settimana di inserimento e io e Claudia abbiamo alcune cose da fare prima dell’inizio delle lezioni. Ti scriverò presto un’email.» «Ma non hai risposto alla mia domanda sul cibo.» «Siamo andate a fare la spesa. Abbiamo il frigo, il freezer e le dispense stipate.» «Con cosa?» «Cibo, mamma.» «Che tipo di cibo?» Lanciai a Claudia uno sguardo esasperato, implorando il suo aiuto, e lei urlò all’istante fingendo di essere in preda al dolore. «Cos’è stato?» «Devo andare, mamma. Claudia ha un calo di zuccheri.» Riattaccai e sorrisi alla mia amica, che se la rideva della grossa. «Dovrei spegnerlo, prima che mi richiami.» Sobbalzammo quando il telefono mi vibrò in mano, ma quando guardai lo schermo lessi ‘Andie’. «Non ho un attimo di tregua. Ciao» risposi.
«Ciao anche a te» disse Andie. «Sei sparita da due giorni. Non scrivi, non chiami...» «Ho appena riattaccato con mamma, due secondi fa.» «Bene. Com’è andata? Ti ha fatto il discorsetto sul cibo?» «L’aveva fatto anche a te?» «Quando sono andata a studiare all’estero? Certo. Credo che pensi che i non americani non siano abitanti del pianeta Terra e che, in qualche modo, si nutrano di strani cibi alieni che i nostri corpi non sono in grado di digerire.» «Sì, hai reso l’idea.» «Allora? Ti piace Edimburgo?» «Finora sì. È strano essere così lontana da casa, ma è una città splendida.» «Come sta Claudia?» «Si gode la cioccolata.» «Non è buona come la nostra.» «È ciò che ho detto anch’io!» «Vi sbagliate tutte e due» si intromise Claudia mentre si alzava per buttare la carta della cioccolata nella spazzatura. «Ora puoi dire a tua sorella che la richiamerai? Se restiamo qui un minuto di più, finirò per romperti il telefono.» «Ho sentito» commentò Andie. Riuscii quasi a sentirla alzare gli occhi al cielo. «Comunque devo andare al lavoro. Qui è mattina presto, ricordi? È mattina presto e la prima cosa che faccio è telefonare alla mia sorellina per sentire come sta ed è una telefonata costosa all’altro capo del mondo, ma a lei importa?» Mi misi a ridere. «Certo che mi importa. È solo che non ho tempo per apprezzarla del tutto. Claudia prova un insano odio nei confronti del nostro più che adorabile appartamento e io l’ho portata a casa per pranzo. Sono quasi sicura che le verrà uno sfogo allergico.» «Be’, non sia mai. Fatti sentire presto, Supergirl.» «A dopo.» Spensi il telefono e rivolsi un’occhiataccia a Claudia. «Sei stata scortese.» «Questo» precisò, indicando la stanza «non è un appartamento. È una sala comune con un corridoio esterno che porta a cinque stanze identiche con porte antincendio che si chiudono a chiave.» «C’è anche un bagno che si chiude a chiave. Credo sia molto meglio rispetto alla maggior parte degli alloggi per studenti.» «Sei divertente.» «E tu sei viziata.» Claudia socchiuse gli occhi. «Mi manca il nostro appartamento. È luminoso e arioso. Abbiamo un balcone. Inoltre, ci vivono solo due persone lì.» Non avevo fatto altro che sentire quelle stesse parole da quan­do Claudia aveva messo gli occhi sulla nuova casa, così la ignorai e la condussi fuori dalla cucina, fermandomi davanti alla del genere se non fosse stato per Claudia. Io la prendevo sempre in giro dicendole che era viziata, ma intendevo solo dal punto di vista materiale. Certo, era abituata alle belle cose, ma la sua vita era il classico cliché della ragazzina ricca: genitori assenti a cui non importava nulla di cosa facesse la figlia. La riempivano di soldi invece che di amore e si aspettavano in cambio la sua riconoscenza. Invece che lasciarsi abbattere da quella situazione, Claudia si dedicava alle persone che le dimostravano un affetto sincero e, in cambio, offriva loro assoluta lealtà. Ci eravamo conosciute al primo anno e avevamo fatto subito amicizia. Lei mi piaceva, e non per i soldi, e io piacevo a lei perché diceva che ero la persona più onesta che avesse mai conosciuto. Quando portai Claudia a casa per il giorno del Ringraziamento, farle conoscere la mia famiglia rinsaldò la nostra amicizia. Mia madre e mio padre la trattavano come una figlia e la riempivano di attenzioni (cosa che segretamente lei adorava). Perfino Andie le aveva concesso la sua solita e prepotente condiscendenza da sorella maggiore (altra cosa che Claudia segretamente adorava). La nostra non era una famiglia ricca. Vivevamo in una piccola cittadina di nome Lanton, a poco più di due ore a nord­ovest di Indianapolis. Mio padre possedeva l’unica autofficina del posto e mia madre aveva un negozio di fiori. Ce la cavavamo bene. L’unica ragione per cui potevano permettersi di mandare le figlie a studiare in ottime scuole e dar loro persino l’opportunità di studiare all’estero era la prozia Cecilia, la zia di mia madre. Cecilia aveva sposato un riccone dell’industria farmaceutica e, alla sua morte, ne aveva ereditato tutti i soldi. Certo, a Cecilia piaceva spendere quei soldi, quindi quando anche lei era morta non le era rimasto un granché. Tuttavia, aveva sempre avuto un’adorazione per Andie e per me e aveva messo qualcosa da parte in un fondo fiduciario per la nostra istruzione. Riguardo alle lamentele di Claudia nei confronti dell’appartamento, immaginavo fosse solo una maschera per nascondere l’agitazione. Eravamo emozionate ma anche un po’ spaventate dall’idea di trovarci in un Paese straniero da sole per l’intero anno accademico, tuttavia, mentre io lo ammettevo e mi mettevo il cuore in pace, Claudia aveva bisogno di trovare qualcosa con cui prendersela in modo da non pensare all’ansia che la assaliva. Dal momento che eravamo al terzo anno ma dovevamo frequentare alcune lezioni del primo, vivevamo con tre studentesse inglesi della nostra età, ma che avevano appena cominciato l’università. Le nostre coinquiline si erano conosciute e avevano già legato un giorno prima del nostro arrivo, così io e Claudia avremmo dovuto faticare un po’ di più per fare amicizia con loro. Con un po’ di fortuna, avremmo superato la difficoltà. 
Per il momento, stavamo ancora cercando di organizzarci prima dell’inizio delle lezioni, decise a conoscere la città il più in fretta possibile. «Starò meglio una volta che ci saremo sistemate e che avremo incontrato un po’ di gente» mi promise Claudia mentre uscivamo di casa. «Ci sono un paio di persone di Purdue che vivono dall’altra parte del cortile. Potremmo andare a conoscerli.» «Se non siamo riuscite a conoscerle quando eravamo là, perché dovremmo farlo qui?» «Che atteggiamento spocchioso!» «Spocchioso? Dici sul serio?» Risi fra me e me mentre scendevamo le scale, ma la risata si spense non appena arrivammo al secondo piano. Claudia non mi chiese il motivo; a dire il vero, non sentivo altro che un silenzio di tomba alle mie spalle, quindi immaginai che anche lei stesse sbavando. Nel bel mezzo del pianerottolo, intento ad attaccare sul muro un poster fotocopiato, c’era un ragazzo incredibilmente sexy. La camicia gli si era sollevata quando aveva alzato le braccia sopra la testa, regalandoci un assaggio di pelle abbronzata e addominali da urlo. La camicia gli copriva un torace che disegnava una V impeccabile e i jeans logori abbracciavano un culo perfetto. Un tatuaggio tribale dall’aria molto sensuale gli copriva un avambraccio tornito e, mentre lui si accorgeva della nostra presenza con la coda dell’occhio, mi ritrovai a sospirare fra me e me. Il suo sorriso era meraviglioso: leggermente storto, decisamente ammiccante e capace di provocare un incontrollabile sfarfallio allo stomaco. Si intonava alla perfezione ai bellissimi occhi grigio chiaro, alla mascella scolpita e ricoperta da una sensuale barba incolta, e ai capelli folti, scompigliati e biondo scuro, che non desideravano altro che essere afferrati da dita femminili. «Ciao, ragazze» ci salutò con voce profonda e un accento americano accogliente e familiare. Claudia mi scansò con una leggera spinta e gli andò incontro con fare indifferente. Sorrisi al modo in cui dondolava i fianchi man mano che si avvicinava a lui. Il ragazzo fece lo stesso, con gli occhi incollati al dondolio. La mia amica era meravigliosa, nel modo in cui sono meravigliose quelle ragazze dall’impareggiabile classe e dall’aria di chi è abituato al meglio nella vita. Un sacco di ragazzi, a casa, si sentivano intimiditi da lei e, nel caso non lo fossero stati, davano per scontato che fosse diversa da ciò che sembrava e la trattavano come un’insulsa bambolina che amava la vita mondana e che sarebbe rimasta colpita più dalla consistenza del loro conto in banca che dalla loro capacità di farla ridere. Quindi, per sua sfortuna, pur essendo eccezionalmente carina, Claudia non aveva ancora trovato l’anima gemella. Osservai il bellimbusto sexy e tatuato, che sembrava appena uscito da Gioventù bruciata , mentre la fissava con ammirazione. Claudia aveva lunghi capelli scuri e una carnagione olivastra ereditata dalla madre portoghese, nonché un vitino da vespa, gambe lunghe, un bel seno e un bel sedere. Era il genere di ragazza che le altre amano odiare. Indossava jeans attillati di marca, scarpe da tennis Lacoste e una deliziosa camicetta bianca di questi per un amico che vive qui, nella scala accanto. Dovete venire assolutamente. Comunque, io sono Beck.» «Claudia.» Mi indicò e aggiunse: «Questa è la mia amica, Charley.» «Ciao, Charley.» Il sorrisetto ammiccante di Beck rimase disegnato sul suo viso mentre mi squadrava dalla testa ai piedi. A differenza di Claudia, indossavo abiti con i quali mi avrebbero sbattuta fuori dal country club: i miei jeans attillati preferiti strappati sul ginocchio, che mi fasciavano per bene il sedere, un maglioncino morbido come la pelle di un bambino a causa dei mille lavaggi a cui era stato sottoposto, e una maglia di qualche taglia più grande con su scarabocchiato ‘Topo da biblioteca’ sul petto. Tre anni prima mi ero tinta di platino i lunghi capelli biondi, perché pensavo che avrei reso più interessanti i miei occhi color nocciola. Li portavo legati indietro in una coda di cavallo scompigliata e indossavo il mio solito ammasso di collane d’argento di diverse lunghezze, tre anelli in una mano, due nell’altra e una marea di braccialetti tintinnanti in argento e pelle su entrambi i polsi. Claudia avrebbe voluto raffinarmi. Io avrei voluto renderla un po’ più trasandata. Gli feci un cenno di rimando con la testa, mentre sentivo le guance arrossire sotto lo sguardo d’apprezzamento che leggevo nei suoi occhi. Il ragazzo era in fiamme ed ero quasi sicura che, se mi fossi leccata un dito e gliel’avessi premuto sulla pelle, ne sarebbe scaturito uno sbuffo di vapore, con tanto di sibilo appagante. Tuttavia, avevo già avuto esperienza con le cotte per i belli e dannati al liceo e ormai avevo chiuso. Lanciai a Claudia uno sguardo per comunicarle col pensiero che avrebbe potuto fare la sua mossa per stenderlo al tappeto. Mi sorrise compiaciuta e si voltò di nuovo verso il manifesto. Seguii il suo sguardo. STASERA FESTA!
13 SETTEMBRE,
H 21:00 PRIMO PIANO,
INTERNO 3 BERE GRATIS E SNAK! 
«Ehm,» farfugliò Claudia, guardando Beck con aria confusa «il tuo amico sa come si scrive ‘snack’?» Beck sbuffò. «Tesoro, c’è scritto BERE GRATIS sul poster. Cazzo, credi davvero che qualcun altro leggerà l’ultima riga?» «Su questo ha ragione lui» mormorai. Lei mi ignorò. «E a te non importa? Stai attaccando tu i manifesti. Se la gente lo vede, penserà che sei uno sfigato che scrive male la parola ‘snack’.» Beck scrollò le spalle e ci scansò per dirigersi verso il nostro piano. «Non è un problema, dato che non me ne frega un cazzo di cosa pensa la gente.» «Molto istruttivo» commentò Claudia, girando sui tacchi e seguendolo con un sorrisetto che avrebbe sciolto qualunque uomo un po’ meno uomo di lui. «Ti va di insegnarmi queste perle di saggezza? Imparo in fretta.» Vidi Beck indugiare un momento sul primo gradino, come sorpreso dalla sua domanda leziosa. Si affrettò a scacciare l’esitazione rivolgendole un altro dei suoi rapidi sguardi sexy e poi le sorrise guardandola negli occhi. «Ci vediamo alla festa, tesoro.» «Ci saremo» rispose Claudia. Mi prese per mano e mi trascinò giù per le scale. Non appena arrivammo in fondo alla scala di cemento nella calda corte interna del palazzo, Claudia si aggrappò a un portabiciclette. «Credo che potrei avere un orgasmo soltanto a guardarlo» gemette, voltandosi di nuovo verso l’edificio, con desiderio. Arricciai il naso. «Mi stai di nuovo facendo confidenze troppo intime.» «Andiamo. Se immergi quel tizio in un lago ghiacciato, lo trasformerà in una sorgente termale.» «Che scema che sei» risi, afferrandola per un polso e trascinandola fuori su Guthrie Street. Vivevamo appena fuori dal Cowgate, l’estremo orientale del Grassmarket, che, con i tutti suoi pub e un locale nelle vicinanze, a quanto pareva era uno dei punti caldi della vita notturna cittadina. Le finestre delle nostre camere da letto davano sul Cowgate, quindi sia Claudia che io avevamo fatto scorta di tappi per le orecchie per poter dormire la notte. Casa nostra si trovava a solo un paio di strade dal campus principale, dove la città iniziava a serpeggiare su per le colline che portavano all’università di Edimburgo. Ci dirigemmo in quella direzione per andare a ritirare la tessera studentesca con il numero di matricola presso il punto informazioni. Era una tessera piuttosto importante, perché serviva per entrare e uscire dalla biblioteca, nonché dai punti di ritrovo per studenti. «Sono d’accordo sul fatto che sia sexy, ma non mi interessano più i belli e dannati.» Ignorai la familiare fitta al petto che provai in quel momento e serrai la mandibola nel tentativo di fare l’indifferente. «E credevo che neanche a te interessassero.» «Farò un’eccezione per Beck.» All’improvviso Claudia chiuse gli occhi, emettendo un altro gemito. «Beck. Perfino il nome è sexy.» «Be’, mia madre lo odierà. Ha detto ‘cazzo’ due volte nel giro di due secondi.» «Io me lo scoperei nel giro di due secondi.» Mi sfuggì dalle labbra una risata incredula. «Non sto scherzando.» E, quando la guardai in faccia, capii che era vero. Mi feci subito seria. «Ti prego, non fare divertirò un sacco a fargliela guadagnare.» Non mi allettava particolarmente l’idea di dover andare a una festa dove sarei stata lasciata da sola a socializzare, mentre la mia migliore amica cercava di attirare Beck fra le sue grinfie. Tuttavia... si trattava di Claudia, le volevo bene e non l’avevo mai vista così emozionata per un ragazzo. Avrei ingoiato il rospo per lei. «Allora credo che andremo davvero a quella festa stasera. Forse dovremmo invitare le nostre coinquiline, no?» «Com’è che si chiamano?» Feci mente locale, sapendo che la risposta era da qualche parte nel mio cervello. «Maggie, Gemma e Lisa. Giusto?» «Credevo fosse Maggie, Jemima e Lauren.» «Jemima? Me lo ricorderei, se si chiamasse Jemima.» «Siamo pessime coinquiline.» «È vero. Organizzerò qualcosa per fare amicizia con loro.» Le brillarono gli occhi. «Oh, possiamo invitare Beck?» Accidenti. Era completamente andata. «Forse avrei dovuto indossare un vestito» borbottò Claudia per la quindicesima volta mentre salivamo la prima rampa di scale, dirette all’interno tre. Si sentiva la musica pulsare nell’appartamento e avevamo già incontrato un paio di matricole ubriache nel cortile. Sospirai, stringendomi contro il muro per lasciar passare un ragazzo dall’aria annoiata che scendeva le scale e usciva dalla porta in tutta fretta. «Ti ho detto che un vestito sarebbe stato troppo. È una festa studentesca come un’altra, Claud, non è una serata di gala.» Non appena arrivammo al pianerottolo del primo piano, capì che avevo ragione. La porta dell’interno tre era spalancata e c’erano studenti assiepati davanti e oltre la soglia, intenti a bere da bicchieri rossi di plastica. Un paio di ragazze ci sorrisero e i ragazzi ci salutarono con il classico cenno del capo mentre passavamo per dare un’occhiata alla casa. Erano tutti vestiti in modo informale ed ero grata di aver convinto Claud a indossare jeans e canotta. «Questo posto è molto più grande del nostro» commentai mentre osservavamo l’affollata sala comune e la cucina. «Ci sono più stanze» mi spiegò Claudia, indicando la parete alla nostra sinistra. Notai che il corridoio proseguiva dietro l’angolo. Contai cinque porte sul lato a noi visibile e immaginai che Claud avesse ragione e che, svoltato l’angolo, ci fossero altre stanze. «Siete venute.» Beck comparve come per magia di fronte a noi, con due birre in mano. «È bello rivedervi, ragazze.» Con un aspetto quasi identico a quello del pomeriggio – forse solo un po’ più sexy – Beck riuscì a paralizzarci per un secondo solo con la sua presenza e nessuna delle due fu in grado di dire una parola. Ci rivolse un sorriso insolente, come se sapesse che genere di reazione suscitasse nel sesso opposto, e agitò le birre davanti ai nostri occhi. «Volete?» Allungai una mano verso una delle bottiglie. «Grazie. Bella festa.» Indicai la sala stracolma intorno a me. «Ve l’avevo detto... basta scrivere ‘bere gratis’ su un manifesto e voilà.» Sorrise a Claudia, che finalmente si riscosse dallo stupore e afferrò l’altra birra. Gli occhi del ragazzo tornarono a posarsi su di me e sul mio petto. «Bella maglietta.» La mia vecchia maglia dei Pearl Jam era scolorita, consumata, un po’ stretta, ma non appena l’avevo vista al negozio dell’usato avevo pensato che dovevo averla. Per fortuna, il fatto che fosse stretta la rendeva più provocante. Non era la prima volta che un ragazzo mi faceva i complimenti per quella maglia e non avevo ancora capito se fosse perché era un capo vintage dei Pearl Jam o perché mi stava attillata sul seno. Probabilmente un po’ per entrambi i motivi. «Grazie» farfugliai e ‘per sbaglio’ colpii il braccio di Claudia con il gomito mentre mi guardavo intorno. Lei mi capì al volo. «Allora, Beck,» disse avvicinandosi a lui «sei qui per il programma di studi all’estero semestrale o per quello annuale come noi?» «Quello annuale» lo sentii rispondere, mentre fingevo di essere più interessata alla stanza in cui mi trovavo che alla conversazione fra lui e la mia migliore amica. «Vengo dall’università Northwestern. E voi?» «Non siamo molto lontane, a dire il vero. Veniamo da Purdue.» «Credo che un paio di ragazzi che vivono qui vengano dalla stessa università. Li conoscete? Alan e Joey? Ci siamo incontrati la prima sera qui.» A quel punto mi voltai anch’io, bevendo un altro sorso di birra e scuotendo la testa mentre Claudia rispondeva: «No. Anche tu vivi qui?» «No, io sto in fondo alla strada al College Wynd, con il mio amico Jake.» Drizzai le orecchie all’istante quando sentii quel nome, con il cuore che batteva all’impazzata come faceva ogni volta che lo sentivo pronunciare. Grazie al cielo, nessuno dei due sembrò accorgersene e, mentre continuavano a chiacchierare, iniziai a inspirare ed espirare con calma, nel tentativo di rilassarmi. Erano passati tre anni e mezzo e il solo pensiero di lui mi provocava ancora una stretta al petto. Quando tornai in me, notai che Claudia mi lanciava delle occhiate furtive per dirmi di sloggiare. Puntai il collo della bottiglia di birra oltre le loro spalle e aggiunsi: «Io vado a... vedere se conosco qualcuno.» un campo da Birra Pong e dove era già in corso un torneo. Evitando il gioco con aria annoiata, mi voltai per andare in cucina, dove alcune persone appoggiate al piano della cucina chiacchieravano fra loro. Mi aprii un varco per superare un ragazzo piuttosto basso che aveva la faccia praticamente all’altezza delle mie tette. «Bella maglietta» disse sorridendomi. Che vi avevo detto? Era una maglia magica. Mormorai un grazie e mi diressi in cucina. «Charley!» Sbattei le palpebre al suono del mio nome che riecheggiava per la stanza e spalancai gli occhi quando vidi la mia coinquilina Maggie che agitava la mano verso di me dall’altro lato della cucina. Sorpresa dalla sua esuberante reazione, le rivolsi un sorriso un po’ perplesso e le andai incontro. «Ciao, Maggie.» «Sei venuta, brava ragazza. Sei fantastica. Vieni a darmi un po’ di amore!» Mi gettò le braccia al collo e io borbottai un uff contro i folti capelli rossi quando sbattemmo l’una contro l’altra. Era piuttosto ubriaca e farfugliava leggermente, ma questo non rendeva il suo accento inglese meno meraviglioso . Poi mi allontanò con forza. «C’è anche Claudia?» «Sì, sta parlando con un ragazzo che abbiamo incontrato oggi pomeriggio.» Maggie annuì, con quei suoi begli occhi arrossati. «Ho perso Gemma e Laura. Non so dove siano andate ma ho incontrato questi ragazzi.» Si voltò verso un tizio ben piantato con i capelli ricci e biondi e due occhioni azzurri da bambino. Con lui c’erano un ragazzo alto e magro con degli occhiali senza montatura molto alla moda, le braccia tatuate e un anello al labbro, e una ragazza formosa con i capelli di un viola brillante. «Questi sono Matt, Lowe e Rowena.» Alzai la birra in segno di saluto. «Ciao, io mi chiamo Charley.» Lowe, il ragazzo alto e magro, sollevò la birra e notai che aveva le unghie delle mani coperte di smalto nero e scheggiato. «Forte, la maglia.» «Sei americano anche tu?» «Sì, della Northwestern.» «Io di Purdue.» D’un tratto aguzzò lo sguardo con rinnovato interesse. Mentre mi squadrava da capo a piedi, mi accorsi dopo un bel po’ che non era affatto magro. Era snello, ma muscoloso... ed era carino. Davvero carino. «Sei una delle ‘locomotive’ di Purdue. Siamo praticamente vicini di casa.» Molto, molto carino. Anche lui era un altro bello e dannato come Beck. In effetti, avrei scommesso che fossero amici. «Se i tuoi vicini di casa devono farsi qualche ora di viaggio per venire a casa tua a mangiare una fetta di ciambella al cioccolato, allora certo, siamo vicini.» Lowe sorrise mentre Matt e Rowena ridevano. Maggie invece sembrava confusa. Nel tentativo di cambiare argomento, chiese: «Quindi avete visto il manifesto della festa?» «Sì, e Beck ci ha invitate.» Lowe aggrottò la fronte. «Hai conosciuto Beck?» Guardai oltre la spalla attraverso la folla e lo indicai. Lui e Claudia stavano ancora parlando ma lei sembrava contrariata da qualunque cosa le stesse dicendo. «Sta parlando con la mia amica Claudia.» Qualcosa attirò la mia attenzione mentre mi voltavo per tornare a parlare con il gruppo e scorsi un profilo fra la gente che mi fece schizzare il sangue alla testa. Rimasi impietrita, scrutando con gli occhi la familiare linea della mandibola e il naso dritto come quello di una statua romana. Labbra familiari che baciavano una fronte sconosciuta. Non poteva essere lui. Il cuore iniziò a battere forte mentre osservavo quel profilo voltarsi. Uno splendido sorriso più che familiare mi colpì come una sferzata e mi paralizzò. Per quella che sembrò un’eternità, rimasi a fissare Jacob Caplin: il primo ragazzo che avessi mai amato. Non lo vedevo da tre anni e mezzo. Ed eccolo là, alto e muscoloso, con un corpo più scolpito di quanto fosse mai stato, con indosso un maglioncino a maniche lunghe e jeans neri. I capelli scuri erano più corti di come li portava un tempo, ma gli incorniciavano alla perfezione il viso squadrato e meraviglioso. Non volevo nemmeno fissare quegli occhi scuri perché sapevo che mi avrebbero solo fatto precipitare in un universo di dolore ancora più profondo di quello in cui mi trovavo già. Il dolore aumentò quando seguii con lo sguardo il suo braccio, stretto intorno alla brunetta nascosta dietro di lui, la quale gli teneva una mano sul petto. Io ero circa un metro e settanta; lei era ancora più alta. Più formosa. Molto, molto più carina. Con quei capelli lunghi e scuri e quella carnagione olivastra, sembrava perfetta accanto a lui. La odiavo. Lo odiavo. Tre anni e mezzo e continuava a farmi male. «Charley! Pronto, Charley!» strillò Maggie, ubriaca, e osservai la scena mentre il mio nome giungeva all’orecchio di Jake. Notai il modo in cui si irrigidiva, mentre stringevo le dita tremanti intorno alla bottiglia di birra. Alzò gli occhi dal gruppo di amici e scrutò la folla nella stan­za. Il suo petto sussultò quando il suo sguardo incrociò il mio e il braccio scivolò giù dalla spalla della ragazza accoccolata a lui. Socchiuse le labbra mentre lo stupore si faceva strada sul suo viso affascinante e lo vidi ripetere più lontano possibile da lui, ma quando lo vidi allontanarsi dagli amici che lo guardavano con aria interrogativa e dirigersi verso di me, mi ritrovai incollata al pavimento, con le guance paonazze per l’emozione mentre lui si fermava di fronte a me. «Jake» lo salutò con calore Lowe. Jake gli fece un cenno con il mento in un modo che conoscevo molto bene e che mi produsse una nuova fitta di dolore lungo tutto il petto. «Lowe.» I suoi occhi passarono in fretta dall’amico a me e il dolore divampò in un vero e proprio incendio. Quanto avevo amato gli occhi di Jake: con quel loro marrone scuro e accogliente, erano così intelligenti e caldi, così profondi, che pensavo che sarei stata felice di trascorrere il resto della mia vita a perdermi in essi. Ero giovane. Ero un’idiota. «Charley» sussurrò con quella voce profonda e piena che riusciva ancora a provocarmi un delizioso quanto indesiderato brivido lungo la schiena. «Non posso credere che sia tu.» Si passò una mano tremante fra i capelli, in attesa che dicessi qualcosa. Qualunque cosa. Volevo sembrare a mio agio. Distaccata. Indifferente. Sfortunatamente, non ero nessuna di quelle cose. Al contrario, porsi la birra a una Maggie ancora più confusa e lo scansai senza dire una parola. Usava ancora la stessa acqua di colonia, quella che gli avevo comprato io. Quella che aveva un tale profumo su di lui da farmi trascorrere buona parte del nostro tempo insieme a strofinargli il naso sul collo. Anche quel ricordo faceva male. Affrettandomi a raggiungere il corridoio, vidi Claudia parlare con un ragazzo che non conoscevo. Non ebbi il tempo di chiederle cosa ne fosse stato di Beck, perché sentii Jake urlare il mio nome. Claudia alzò lo sguardo quando lo udì e spalancò gli occhi quando vide la mia faccia. «Io vado» le dissi in tono deciso mentre passavo oltre. Lei mi seguì a ruota. Corsi giù per le scale e attraversai il cortile, precipitandomi verso il nostro portone e sbattendolo subito dietro Claud. «Che diavolo sta succedendo?» Aveva lo sguardo carico di preoccupazione, ma io la oltrepassai e corsi su per le scale. Soltanto quando fummo in camera mia con la porta chiusa a chiave mi voltai per guardarla in faccia, mentre tremavo dalla testa ai piedi e il dolore che avevo cercato di trattenere esplodeva.
Claudia mi abbracciò, stringendomi forte e sussurrandomi all’orecchio parole di conforto, mentre le spiegavo tutto singhiozzandole fra i capelli.



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