RISE OF THE DAMNED di Mya McKenzie



Titolo: Rise of the damned
Serie: Redemption Series #2
Autore: Mya McKenzie
Genere: Romantic Suspense
Pagine: 310
Prezzo: 1,99€
Editore: Self publisher
Data pubblicazione: 26/04/2017

(dal 31/01/2018 disponibile in tutti gli store online)
 
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Per tutta la vita Jack ha cercato risposta all’unica domanda che contasse davvero, senza però rendersi conto di essere impreparato ad affrontarne le conseguenze. La verità che ha scoperto è stata così devastante da spingerlo ad abbandonare la propria casa, l’università e l’unica donna che l’abbia mai amato.
Quando è fuggito da Tampa era un ragazzo stravolto, confuso e ferito.
Ora è un uomo che ha trovato la propria strada, ha intrapreso una nuova carriera e si è prefissato nuovi traguardi.
Eppure in Florida ha lasciato una buona fetta di sé, una parte così importante che gli risulta impossibile ricominciare davvero. Perciò, quando la vita gli offre l’opportunità di chiudere i conti con il passato, Jack non si tira indietro.
Fa ritorno nella sua vecchia città, da coloro che si è lasciato alle spalle.
Con l’obiettivo di ottenere giustizia.
Con l’intenzione di chiedere perdono.
Con l’illusione di poter avere una seconda occasione.
 









Ora che siamo al sicuro, mi prendo qualche attimo per osservarla meglio. La guardo e mi chiedo se sia il caso di riesumare argomenti vecchi di settimane. Forse dovrei soltanto lasciarla libera di vivere la sua vita con l’uomo che ha scelto.
«Cosa vuoi dirmi?» mormora lanciando un’occhiata alla mia bocca socchiusa.
«Nulla. È che per tutto questo tempo mi sono fatto un’idea sbagliata di te. Di noi...»
Le sfioro una guancia con un dito e scuoto la testa, cercando di scacciare la delusione di sapere che le mie speranze erano basate su fondamenta fragili e inconsistenti.
«Non capisco.»
«Non fa niente, non ci pensare. Ora vai e, se hai bisogno di parlare con me, chiama la mia divisione a El Paso e chiedi di Reed. È l’unico di cui mi fidi.»
«E Alek?»
«Tiene molto a te, ma è convinto che io debba starti alla larga. So che farebbe qualsiasi cosa per proteggerti, perciò non mi passerebbe mai un tuo messaggio, nemmeno se si trattasse di una questione urgente.»
«Va bene. Abbi cura di te, Jack.» mormora baciandomi una guancia e sgusciando via.
Resto immobile, a fissare il suo foulard fluttuare dietro di lei e poi scomparire in un effimero volteggio oltre le colonne di marmo rosato. Ogni volta che la guardo allontanarsi è come se un pezzetto di me se ne andasse via con lei. Ogni volta che ci separiamo non posso evitare di domandarmi se avrò la possibilità di vederla ancora.



 Il dolore sordo che provo al centro del petto non è nulla in confronto alla ferita che mi sto procurando alla mano. Sto sanguinando in tutti i modi umanamente possibili, ma non me ne frega niente delle gocce che stanno correndo lungo il palmo. Non è quella la ferita di cui mi preoccupo. Non è la mano a urlare il dolore più forte, così straziante da farmi desiderare di non essere più qui.
È la coscienza a non darmi pace.
È l’anima a chiedere clemenza per le colpe commesse.
È il cuore a elemosinare un po’ di sollievo.
L’uragano di emozioni che sconvolgono tutto il mio essere finisce per sopraffarmi. Le prime a cedere sono le gambe. L’attizzatoio mi sfugge dalle mani e scivola a terra dopo un frastuono infernale. Porta con sé qualche favilla infuocata e io resto paralizzato, a osservare queste minuscole particelle incandescenti fluttuare oltre gli alari e scendere sul pavimento come fossero soffici fiocchi di neve. Ne adocchio una in particolare, più grossa delle altre, che compie una misera parabola e precipita a piombo sulle frange del tappeto, a poco più di una spanna da dove mi trovo.
Resto a fissare le fibre avvizzire, fagocitate dal calore, come in una macabra allegoria di ciò che sta avvenendo dentro di me. Rimango lì, impotente e apatico, a osservare il tappeto incenerirsi poco alla volta, finché un piede calato con decisione non mette fine allo spettacolo cui stavo assistendo.
Sposto lo sguardo assente sulla donna che si è inginocchiata davanti a me e vedo le sue labbra muoversi, ma non colgo il significato delle sue parole. Sento le sue dita sfiorarmi il palmo, vedo il suo sguardo affranto posarsi sui miei occhi e, un attimo dopo, mi ritrovo stretto tra le sue braccia. Sta sussurrando qualcosa, ma la sua voce non mi raggiunge. Resto lì, rannicchiato, con le braccia molli, a fissare il nulla. Finché, le sue lacrime calde non mi scivolano sul collo, bagnandomi il colletto della camicia.
Ed è allora che accade. Qualcosa dentro di me si smuove, mi spinge a reagire. Sollevo le mani e le faccio scorrere sulla sua schiena, finché non l’avvolgo completamente. Chiudo gli occhi, lascio che il dolore fluisca assieme all’aria racchiusa in un profondo sospiro.
E le permetto di entrare.





Resto a osservarla mentre sorseggia il suo caffè, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso.
Il ricordo di ciò che c'è stato tra noi mi ha fatto compagnia in tutti questi anni ma, come il vino che matura con il passare dei giorni, i miei sentimenti per lei sono cresciuti con lo scorrere del tempo. C’è stato un momento, mesi fa, in cui, in preda a una nostalgica euforia, ho acquistato un biglietto di sola andata per Tampa. Ho preso due settimane di ferie, ho fatto le valigie e raggiunto l'aeroporto. Mi sono persino fatto la coda al check-in, prima di comprendere quanto assurdo fosse il mio comportamento. È stato davanti a una commessa sorridente e con la mano protesa, che ho capito di non essere all'altezza. Mi sono reso conto che, per quanto fosse grande l'affetto che provavo per Gwen, il senso di colpa e la vergogna lo erano di più. Non ho preso quel volo, non ho raggiunto l'unica donna che desiderassi, non ho dato seguito ai miei sentimenti. Da quel giorno ho soltanto provato a spegnerli, un poco alla volta.
Adesso è chiaro quanto sia stato inutile.
È stato sufficiente un sorriso per fondere la corazza che ho costruito attorno al suo ricordo e un solo accenno ai tempi andati perché venissi trafitto dal desiderio di riaverla.
È bastato un attimo per illudermi di poter recuperare gli anni perduti e il tempo di un respiro per sperare di riprendere da dove avevamo interrotto.






 

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